MADAMA BUTTERFLY
Opera di Giacomo Puccini

Maestro concertatore e Direttore NIKŠA BAREZA
Regia ALBERTO TRIOLA
Regista collaboratore LIBERO STELLUTI
Scene EMANUELE GENUIZZI con STEFANO ZULLO
Costumi SARA MARCUCCI
Light designer STEFANO CAPRA

Teatro Giuseppe Verdi, Trieste
Stagione Lirica e di Balletto 2018/2019
Nuovo allestimento

“Un’immagine dai tratti ingenui, quasi infantili, narra la vicenda di Cio-Cio-San, adolescente sognante e pura, e manifesta la chiave in soggettiva dell’interpertazione registica. Liberamente ispirata agli Ukiyo-e del periodo di transizione fra i due secoli – dove elementi occidentali si integrano a codici iconografici del mondo fluttuante – questa sinossi illustrativa, come la premonizione di un destino già scritto, rappresenta il diaframma che introduce lo spazio psicologico e astratto nel quale la scena si trasforma. Qui, l’ambientazione giapponese si svincola dalla necessità della connotazione descrittiva per approdare su un piano metafisico e illusorio, caratterizzato da una superficie orizzontale continua e spoglia sulla quale scivolano, con rituale gestualità, delicati e fragili volumi geometrici, essenziali e nitidi, quasi immateriali, espressione di un ideale di purezza, ordine e armonia. Questi recano in trasparenza, come generate da proiezioni oniriche, immagini e atmosfere di una Natura che, secondo la tradizione iconografica del Sol Levante, riverbera e manifesta gli stati d’animo in una sorta di identificazione metamorfica entro la quale una primavera rigogliosa e seducente, carica di promesse di felicità, può mutarsi in un eterno autunno di attesa, desaturato di colore, popolato di ombre angosciose e cupe. Lo spazio è rarefatto e mutevole, il segno è quello di un Giappone asciugato da ambizioni filologiche o immagini folkloristiche ma riconoscibile nella sua matrice “archetipica”, ancorché inevitabilmente filtrata e interpretata da una lettura occidentale. Nell’àmbito di questa ricerca di significato, di coerenza e di sintesi poetica, i costumi di Sara Marcucci dialogano con la scena richiamando a loro volta un Giappone popolare e dignitoso, a tratti dimesso, dalle cromie spesso umbratili accese da improvvisi contrasti, come quello raccontato dalle immagini fotografiche di Felice Beato: un mondo impreparato all’incontro con l’occidente, umile e poetico, permeato di fragile bellezza”.
(e.g.)